Produzione auto in Europa: mega fabbriche sfruttate al 60% della capacità Le immatricolazioni di auto in Europa a marzo 2022 sono il presagio di una crisi pericolosa: l’analisi del Centro Studi Promotor

Produzione auto in Europa: mega fabbriche sfruttate al 60% della capacità

Gli impianti di produzione auto in Europa sono sfruttati appena per il 60% delle loro capacità. In Italia, invece, i numeri sono ancora più negativi

19 Aprile 2022 - 03:04

L’industria delle quattro ruote in Europa sta attraversando un periodo molto difficile e denso di cambiamenti. La pandemia e, successivamente, la crisi dei chip hanno creato non pochi problemi alle attività produttive, causando un progressivo rallentamento della produzione con molti costruttori che hanno scelto di puntare su modelli in grado di garantire profitti maggiori ma volumi più bassi. Contestualmente, inoltre, c’è da fare i conti con le sfide dell’elettrificazione. L’intera industria automotive è chiamata ad una completa ristrutturazione con interi stabilimenti da dedicare all’assemblaggio di auto elettriche e impianti da riconvertire per la produzione di un quantitativo di batterie sufficiente a sostenere la produzione di auto a zero emissioni. In questo contesto, il tasso di sfruttamento degli impianti di produzione in Europa è crollato facendo registrare un nuovo record negativo.

LA PRODUZIONE AUTO IN EUROPA CONTINUA SU VOLUMI RIDOTTI

Nel corso degli ultimi due anni, la produzione di auto in Europa ha dovuto fare i conti con i lockdown dovuti alla pandemia, la crisi dei chip e la conseguente carenza di semiconduttori necessari all’assemblaggio e la guerra in Ucraina che ha tagliato diverse linee di fornitura per molti siti produttivi europei. In questo contesto, il programma di elettrificazione voluto dai Governi europei sta registrando una decisa accelerazione. Per il settore automotive in Europa c’è, però, il problema della sovra capacità produttiva in rapporto a quella che è la realtà del mercato attuale. Un report degli analisti di Inovev, infatti, ha confermato come nel corso del 2021 la produzione degli impianti europei abbia raggiunto 15 milioni di unità. Si tratta di un dato molto preoccupante considerando che la capacità produttività dell’industria europea è di circa 22 milioni di autovetture all’anno.

SOLO IL 60% DELLA CAPACITA’ SFRUTTATA PER LA PRODUZIONE AUTO IN EUROPA NEL 2021

I numeri evidenziati da Inovev confermano un ridotto utilizzo dell’infrastruttura di produzione per il settore automotive europeo. Nel corso del 2021, infatti, gli stabilimenti del continente sono stati sfruttati esclusivamente per il 60% delle loro capacità. Questo dato risulta essere persino più basso rispetto a quello registrato nel 2020 quando, a causa dei primi lockdown, la produzione in molti Paesi venne bloccata per intere settimane (in Italia, gli stabilimenti iniziarono a ripartire solo a fine aprile, dopo lo stop avvenuto nel corso della seconda settimana di marzo). Nel 2020, infatti, il livello di sfruttamento degli stabilimenti europei è stato del 63%. L’ultimo dato pre-pandemia, relativo al 2019, certifica il crollo registrato dal settore. Due anni fa, infatti, gli impianti di produzione in Europa erano sfruttati per circa l’83% delle loro capacità.

LA PRODUZIONE ITALIANA A PICCO: UN PROBLEMA PER TUTTO IL PAESE

La produzione di auto in Italia è in calo costante da tempo. L’analisi di Inovev conferma che l’Italia è tra gli ultimi Paesi in Europa per quanto riguarda lo sfruttamento della sua capacità produttiva per il settore automotive. Nel 2021, infatti, è stato sfruttato appena il 50% della capacità disponibile. Questo dato trova conferma anche dai numeri forniti dalla FIM Cisl ad inizio 2022. Secondo l’analisi dei rappresentati dei lavoratori, infatti, negli ultimi anni gli stabilimenti di Stellantis hanno fatto registrare un preoccupante crollo della produzione. Il gruppo, nato dalla fusione tra FCA e PSA, copre la quasi totalità della produzione italiana ed i numeri sono estremamente negativi. Negli ultimi quattro anni, infatti, la produzione è passata da 1,35 milioni di unità a 673 mila unità con un calo del 35%. Risultati peggiori sono stati registrati dalle autovetture (da 743 mila a 408 mila unità) con un calo del 45%.

NUOVI INVESTIMENTI PER RILANCIARE LA PRODUZIONE AUTO IN ITALIA

Dagli investimenti del gruppo Stellantis continuerà a dipendere il futuro della produzione auto in Italia. Per i prossimi anni, l’azienda ha già confermato tante novità per i suoi stabilimenti italiani. Recentemente, ad esempio, è stata confermata la produzione di quattro auto elettriche (due a marchio DS, una Opel e una Lancia) sulla nuova piattaforma Medium nello stabilimento di Melfi. Nel frattempo, a Mirafiori arriveranno le nuove Maserati (GranTurismo, GranCabrio, Quattroporte e la non ancora annunciata nuova generazione di Levante). Il 2022, inoltre, segna la partenza della produzione dell’Alfa Romeo Tonale (a Pomigliano d’Arco) e del Maserati Grecale (a Cassino). Contestualmente, è stata recentemente confermata la riconversione del sito di Termoli che, in futuro, si occuperà della produzione di batterie. Tutti questi progetti puntano a incrementare il livello di sfruttamento degli stabilimenti italiani nel corso dei prossimi anni.

L’INDUSTRIA ITALIANA PUNTA SU MODELLI PREMIUM: LA PRODUZIONE AUTO RESTERA’ SU VOLUMI RIDOTTI?

Le novità annunciate da Stellantis per il settore auto italiano hanno un comune denominatore. Si tratta di modelli premium o di lusso, destinati ad entrare in produzione con volumi limitati rispetto ai modelli prodotti in passato. Difficilmente, infatti, ci sarà una sostanziale inversione di tendenza per quanto riguarda i livelli produttivi in Italia. I nuovi modelli in arrivo non sono pensati per garantire volumi elevati. Questo elemento rischia, quindi, di avere conseguenza sia sui livelli occupazionali (Stellantis ha già avviato dallo scorso anno una serie di programmi per uscite agevolate per i suoi dipendenti) e sulla filiera. Nel frattempo, le nuove generazioni dei modelli più diffusi tra quelli prodotti in Italia (Fiat Panda e 500X e Jeep Renegade) dovrebbero abbandonare il nostro Paese, contribuendo a questa trasformazione “premium” degli stabilimenti italiani.

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