Auto aziendale: come si dividono le spese tra datore e lavoratore?

La divisione delle spese tra datore e lavoratore in relazione all’uso dell’auto aziendale è fondamentale per ragioni fiscali ed economiche
Non un semplice benefit perché l’auto aziendale rappresenta anche un innegabile vantaggio fiscale. Ai benefici di carattere pratico, soprattutto quando il veicolo è concesso a uso promiscuo e dunque per uso allargato alle ragioni personali, si aggiungono quelli economici che si intrecciano inevitabilmente con la questione delle imposte da pagare. Il punto da approfondire è anche un altro. Come si dividono le spese tra datore e lavoratore nel caso di assegnazione dell’auto aziendale? La risposta è meno scontata di quel che apparentemente potrebbe sembrare. Lo è perché l’Agenzia delle entrate è intervenuta in maniera precisa a chiarire il trattamento da riservare ad alcune voci di spesa. In particolare sui costi per il pedaggio e il carburante per le auto aziendali. E la questione è finita anche sul tavolo dei giudici. Facciamo quindi chiarezza in base alle più recenti determinazioni.
AUTO AZIENDALE A USO PROMISCUO, MODALITÀ SEMPRE PIÙ DIFFUSA
Uno dei casi più comuni di assegnazione dell’auto aziendale è per uso promiscuo. In buona sostanza, il dipendente utilizza il mezzo sia per ragioni lavorative e sia per motivi personali. Ad esempio nel fine settimana per concedersi una gita fuori porta con la famiglia. Oppure per andare a fare la spesa o qualunque altro tipo di attività slegata dal lavoro. Siamo davanti a un vero e proprio fringe benefit di valore economico. In questo caso, le spese di gestione dell’auto sono generalmente a carico del datore di lavoro. Quest’ultimo si sobbarca i costi relativi a:
– bollo auto e assicurazione;
– tagliando;
– revisione.
La variabile è piuttosto rappresentata dalle spese del carburante o dell’energia elettrica per la ricarica di una eventuale batteria. Questi costi possono infatti essere assegnati anche al lavoratore, almeno per la parte relativa agli spostamenti privati.
AUTO AZIENDALE, PERCHÉ È IMPORTANTE LA DIVISIONE DELLE SPESE
C’è un motivo in più per cui è così importante la divisione delle spese tra datore e lavoratore in relazione all’uso dell’auto aziendale. Si tratta della tassazione. Dal punto di vista strettamente fiscale, per il lavoratore l’utilizzo dell’auto aziendale è una forma di reddito da tassare. Dal lato aziendale, le spese affrontate possono essere dedotte. Non tutte e solo nel rispetto di alcuni requisiti ben precisi. Ancora più esattamente, la tassazione dell’auto aziendale si calcola in misura forfettaria. Gli elementi considerati sono
– il tipo di veicolo;
– la marca;
– il modello;
– l’alimentazione;
– la cilindrata;
– la potenza;
– il livello di emissioni inquinanti secondo la logica che più le auto impattano sull’ambiente e più elevate sono le imposte.
In pratica, a parità di percorrenza, la cifra finale varia in base all’auto. Punto di riferimento sono le tabelle Aci, aggiornate di anno in anno, che prendono a base il 30% di una percorrenza annua di 15.000 chilometri.
CARBURANTE E PEDAGGIO CON AUTO AZIENDALE: LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
In questo contesto si inserisce una importante sentenza della Corte di Cassazione in relazione alle spese per l’auto aziendale. Per i giudici i costi per il rifornimento del carburante e per il pagamento del pedaggio autostradale possono essere disconosciuti dall’Agenzia delle entrate e recuperati a tassazione se l’amministrazione può dimostrare l’utilizzo del veicolo per ragioni personali del lavoratore. Si tratta della motivazione con cui la Suprema Corte – con l’ordinanza 26551 del 23 novembre 2020 – ha rigettato il ricorso del contribuente. Quest’ultimo non aveva presentato le prove che attestavano lo spostamento con altri mezzi e né aveva dimostrato l’uso dell’auto per scopo di lavoro lungo le tratte percorse. La società aveva dedotto i costi dell’auto aziendale per uso promiscuo concessa al lavoratore, includendo anche le spese di carburante e pedaggi. Tuttavia per l’Agenzia delle entrate (le cui tesi sono state accolte dai giudici), questi costi non erano riferiti all’attività di impresa.
L’AUTO AZIENDALE E IL PRINCIPIO DELL’INERENZA
Il principio chiave di cui ha tenuto conto nel rigettare il ricorso è stato quello dell’inerenza dei costi associati all’uso dell’auto aziendale. Per la Cassazione “attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione degli stessi non ai ricavi in sé, bensì all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi”. Nei casi poco chiari, la prova dell’inerenza ovvero “dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe poi sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato”.