Intervista a Jakub Faryś, Presidente dell'Associazione dell'Industria Automobilistica Polacca che ci racconta in esclusiva le sfide su auto connesse ed elettriche
L’industria automobilistica europea è al centro di un cambiamento epocale verso la mobilità sostenibile, connessa e a emissioni zero. Molte Case costruttrici (vedi l’esempio di Volvo Cars, tra i tanti) hanno spostato o aperto nuove sedi direzionali, stabilimenti produttivi o centri tecnologici in Polonia, tra i Paesi con una crescita economica esponenziale in pochi anni. In che modo questa trasformazione riguarda le aziende automotive polacche? Quanto sarà in grado la Polonia di competere a livello europeo e mondiale?
Lo abbiamo chiesto a Jakub Faryś, Presidente della PZPM (Polski Związek Przemysłu Motoryzacyjnego, membro di ACEA, così come la nostra ANFIA), che in un’intervista esclusiva ha condiviso con SicurAUTO.it le prospettive sulle sfide e le opportunità che l’industria sta affrontando. Parlando di transizione ecologica, produzione di auto elettriche, condivisione dati e di posizione della Polonia in questo panorama in evoluzione, Faryś fornisce un’interessante panoramica sul futuro dell’industria automobilistica in Polonia e in Europa.
L’industria automotive europea e mondiale è al centro di un cambiamento epocale che sta spingendo verso forme di mobilità meno inquinanti. Qual è la vostra posizione a riguardo?
“Per oltre 100 anni il mondo dell’auto non si è dovuto curare del combustibile necessario a far muovere le auto. Da sempre è stato piuttosto chiaro che le auto prodotte sarebbero state alimentate a benzina o gasolio. Ma oggi è diverso, noi produttori dobbiamo progettare le auto tenendo già a mente il loro impatto ambientale, la tipologia di vettore energetico, come questo viene prodotto e distribuito, etc. Un cambio totale di paradigma”.
Quindi, dopo oltre un secolo in cui le auto sono rimaste sostanzialmente le stesse ora le cose stanno cambiando profondamente. Quali sono le criticità che vedete di fronte a voi?
“Ci sono due livelli di analisi. Il primo è incentrato sul dialogo e il confronto con le autorità e le istituzioni per tracciare un quadro normativo della nuova mobilità; il secondo riguarda invece il guidare i clienti alla fruizione dell’auto elettrica nel miglior modo possibile. Insegnare l’uso corretto di una colonnina o di una wallbox, spiegare concetti come ricarica in corrente alternata o continua. Per usare un’auto elettrica bisogna cambiare mentalità. Capire ad esempio che si deve pianificare il percorso prima di un lungo viaggio… e così via. In futuro ci saranno diverse tecnologie sul mercato: l’elettrico, l’idrogeno. Sarà il consumatore a scegliere cosa è meglio per le singole esigenze.
Vale la pena aggiungere che se il 2035 è l’anno fissato per lo stop ai motori termici, già il 2030 sarà un anno cruciale, perché l’Unione Europea chiede per quella data una riduzione del 50% delle emissioni di CO2 sia per le auto sia per i veicoli commerciali. Questa misura è già stata adottata e rappresenta una rivoluzione. Significherà che al 2030 la metà delle vendite di auto dovrà essere a zero emissioni per compensare l’impatto ambientale di vetture – ibride o quant’altro – ancora dotate di motore termico. Ecco, il 2030, da un punto di vista industriale, è domani. È come se si fosse alla guida di una gigantesca nave. Se vogliamo cambiare rotta e diamo il comando, dobbiamo percorrere chilometri per fare indirizzare la prua nella nuova direzione. Quindi, dobbiamo decidere ora, e in fretta, cosa vogliamo fare e dare il tempo all’industria di adattarsi alle scelte da qui al 2028, al 2032 e così via. Questo è il momento di decidere cosa succederà nel 2035 e dopo il 2035”.
Credit Image: plus-biznesu.
Tutta questa confusione nella Commissione Europea, con Paesi che hanno cambiato idea sullo stop ai motori termici nel 2035, che conseguenze avrà sull’industria?
“In questo momento è tutto un gioco politico. Ma il passaggio a una mobilità a zero emissioni è una cosa che riguarda più la società che la tecnologia. Bisogna lavorare principalmente sull’opinione della gente. Da un punto di vista tecnologico, siamo pronti alla vendita di auto elettriche. Si deve lavorare sull’abbassamento dei prezzi, sulla progettazione di più modelli, ma alla fine di tutto, la cosa più urgente è quella di lavorare sulle persone, per far capire loro l’importanza e la necessità del cambiamento. In questo siamo ancora all’inizio. Andiamo oltre il concetto di auto. Ogni volta che si propone qualcosa di nuovo al mercato, quella cosa è costosa. Fa parte del gioco dell’avanzamento tecnologico. Ma se quel prodotto prende piede, sempre più persone lo acquisteranno e i prezzi si abbasseranno. È così per ogni cosa.
Certo, la situazione europea è più complessa, perché ci sono grandi differenze tra Stato e Stato. Penso alla Polonia e ai Paesi Bassi: in Olanda l’auto elettrica è già molto diffusa perché ci sono redditi diversi e ci sono infrastrutture diverse. Ma in generale in Europa ogni Paese ha caratteristiche proprie e soprattutto amministrazioni indipendenti. Gli Stati Uniti sono un insieme di stati molto più omogeneo, con un governo centrale più forte, un unico presidente: lì le cose possono essere più facili”.
Il problema è che in Europa c’è anche più competizione tra Stati…
“In Europa ci sono milioni di ore di riunioni e incontri per discutere ogni argomento. È un processo molto lungo e complesso. Anche perché è molto più facile sposare il cambiamento per i Paesi ricchi che per i Paesi poveri. Ma torniamo al concetto chiave. Noi, come società, dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo passare a un sistema a zero emissioni. Da qui non si scappa. Poi, dobbiamo decidere sul come raggiungere gli obiettivi, ma quegli obiettivi sono chiari. E dobbiamo decidere anche il quando. Sulla carta dovremmo essere tutti giovani, in salute, con un buon lavoro e ricchi. Ma la verità non è questa. Dobbiamo rispondere alle esigenze reali di una società variegata”.
Vorrei fare un passo indietro, tornando al concetto delle differenze tra Paese e Paese in Europa. In Polonia ci sono grossi investimenti nel campo automotive. Come giudica il comparto rispetto agli altri Stati del Vecchio Continente?
“Dipende dagli anni. Diciamo che vedo la Polonia a metà classifica della Top 10 europea. A volte siamo quinti, a volte siamo sesti. Bisogna poi capire con che criteri si fa la valutazione. In ogni caso, parlando di nuovi modelli, la produzione aumenterà a breve. Attualmente siamo intorno al mezzo milione di vetture prodotte, ma credo che il prossimo anno si possa arrivare a 600.000 vetture l’anno, che è un ottimo risultato. Anche perché il mercato ha subito una grossa contrazione dal 2015 in avanti”.
E parlando di produzione di batterie? Quante Gigafactory ci sono, quante aziende ci sono? Cosa dobbiamo aspettarci a livello di programmi e investimenti?
“Il più grande produttore in Polonia è LG Chem. Al momento, da questo punto di vista, la Polonia è al secondo posto in Europa. Ma ci sono annunci di grossi investimenti in Spagna e in altri Paesi, quindi potremmo scivolare fino verso il quinto posto. C’è grande competizione tra i vari Stati europei e tra l’Europa e altre regioni, come gli Stati Uniti. Dobbiamo far capire ai governi che le cose cambiano in fretta. L’Europa, per decenni, è stata al centro del comparto automotive mondiale. Ma la competizione sta cambiando e dobbiamo essere attenti e veloci per mantenere la nostra posizione. C’è un concetto più ampio da considerare: l’energia. Noi parliamo di veicoli a zero emissioni, ma per avere un veicolo a zero emissioni noi dobbiamo anche produrre energia a zero emissioni”.
A questo proposito, mi chiedo: se vogliamo che sempre più aziende investano in Polonia, la Polonia deve investire per decarbonizzare la produzione di energia?
“Dobbiamo promettere agli investitori che noi possiamo garantire per il presente e il futuro energia green a prezzi convenienti e che avremo una produzione stabile. Ricordiamoci poi che il mondo dell’auto non è l’unico ad aver bisogno di energia. C’è tutto il comparto siderurgico che ne consuma grandi quantità. Per la Polonia questa è una grande sfida e per vincerla bisogna investire. Tornando al mondo automotive, le necessità attuali sono quelle di garantire alle nostre fabbriche la produzione di nuovi modelli. Ma al giorno d’oggi, la Polonia è un’eccellenza nella produzione di motori termici, che non sono più una priorità per il comparto dell’auto. Il mercato sta chiedendo prodotti completamente diversi: veicoli a zero emissioni.
Quindi il Paese deve trovare il modo di adattarsi alle nuove esigenze. Quando, in passato, una Casa presentava la nuova generazione di un’auto che veniva prodotta in Polonia, eravamo certi che saremmo stati noi a continuare a produrla. Perché avevamo le fabbriche, i macchinari, le competenze. Ora non sarà più così. Le nuove generazioni di auto saranno totalmente diverse. Si riparte tutti da zero in un certo senso. E dobbiamo farci trovare pronti: dobbiamo essere attrattivi.”
E cosa fate voi, come associazioni, per convincere gli OEM a produrre in Polonia anziché in Italia o in Spagna o in Germania? Qual è il plus della Polonia, ora che anche il costo del lavoro è cambiato?
“La cosa più importante per noi è il dialogo con il governo per spiegare loro cosa sta succedendo al mondo dell’auto e chiedere loro di prendere consapevolezza di come stanno cambiando le cose. Mi rendo conto che i politici pensano principalmente in funzione delle prossime elezioni, ma si deve ragionare in grande. Negli Anni ’90, quando siamo passati dal comunismo al capitalismo, c’è stato una specie di gentlemen agreement per cui tutti erano d’accordo sul fatto che l’automotive fosse un settore chiave per l’economia polacca. Tutti lottavamo per rafforzare il settore.
Ora è la stessa cosa. Non ci devono essere contrapposizioni tra destra e sinistra. L’automotive non deve essere oggetto della contrapposizione politica. Dobbiamo offrire condizioni identiche a quelle che ci sono in Spagna, in Italia o in Germania. In questo modo, possiamo intavolare trattative e garantirci parte della produzione. Se invece le condizioni che offriremo alle Case saranno peggiori rispetto a quelle di altri Stati, allora non avremmo la possibilità di avviare alcun tipo di dialogo”.
E quindi, cosa potete offrire di meglio?
“Prima di tutto, dobbiamo garantire un sistema dell’energia che sia alla pari di quello di altri Paesi. Poi, abbiamo un’eccellente forza lavoro. I giovani hanno una solida formazione, studiano spesso all’estero e quelli che tornano sono una risorsa preziosa. Sono bravi e sono dinamici e, rispetto ad altri Paesi europei, sono motivati e hanno voglia di fare carriera. Questo perché il nostro sistema economico è cambiato radicalmente una trentina di anni fa. Poi, la Polonia può fare affidamento su un comparto solido, con una logistica ottimamente organizzata e ottime vie di comunicazione che ci fanno sentire più vicini ai Paesi vicini grazie alle nostre autostrade e alle nostre ferrovie. Inoltre, una volta terminato il conflitto tra Russia e Ucraina, la Polonia ha una buona opportunità di partecipare alla ricostruzione, per una evidente vicinanza geografica. Insomma, abbiamo grosse opportunità di mantenere la nostra posizione all’interno dell’Europa, ma non dobbiamo darla per scontata”.
E parlando di tasse e carico fiscale? Cosa si devono aspettare gli OEM che vogliono operare in Polonia?
“Il governo lavora su vari fronti per attrarre nuovi investimenti. Offre incentivi, ma anche agevolazioni fiscali. Abbiamo la fortuna di avere un ente che funziona molto bene in questo senso. Si chiama PAIH (Polska Agencja Inwestycji i Handlu), agenzia polacca per gli investimenti e il commercio. Svolge un ottimo lavoro per far decollare nuovi progetti con agevolazioni di varia natura. La PAIH ha una competenza particolare nel mondo automotive, che rappresenta una fetta importante della nostra economia. E la PAIH è in grado di mettere a disposizione ai nuovi investitori anche un indotto molto ben strutturato. Un’auto termica è composta da un numero di componenti che va dai 15.000 ai 20.000.
In Polonia ci sono aziende in grado di fornire praticamente tutto. E anche un’auto elettrica, che è più semplice, richiede comunque migliaia di pezzi. In Polonia ci sono realtà in grado di accorciare la filiera e fornire tutto il necessario a chi vuole costruire un nuovo modello nel Paese. Il Covid ci ha insegnato che avere una catena degli approvvigionamenti locale è fondamentale. La dipendenza dalla Cina o da altri Paesi lontani ha rallentato la produzione e ora tutti hanno capito che produrre localmente, anche se costa di più, ha dei vantaggi. La Polonia ha un indotto completo e moderno: può soddisfare i bisogni degli OEM”.
Se domani un OEM costruisce una nuova fabbrica in Polonia, quanti nuovi stabilimenti dei fornitori seguiranno quella Casa?
“In Polonia ci sono circa 10 fabbriche che producono autovetture, furgoni, camion e autobus. Allo stesso tempo, ci sono centinaia di fornitori che lavorano sulla componentistica. Se costruisci una nuova fabbrica per la costruzione di un veicolo, in Polonia trovi già i fornitori in grado di soddisfare le tue esigenze. Si svolgeranno quindi dei dialoghi con chi è già presente in questo ambito. Ma in generale è così: si sfrutta chi c’è già. C’è un rapporto interessante: una nuova persona impiegata nella costruzione di un nuovo prodotto porta a 5 nuovi posti di lavoro nell’indotto”.
Ho notato un dato interessante riguardante l’efficienza produttiva. Se in media in Europa per ogni persona impiegata nel settore automobilistico vengono costruiti 7 veicoli, in Polonia questo rapporto scende a 1 a 3. Come mai?
“Ci sono 2 spiegazioni. Prima di tutto dipende dal modo in cui viene calcolato questo rapporto. Il primo motivo riguarda il fatto che ci sono molte persone impiegate nella produzione di parti e accessori, anche per l’export. Il secondo motivo è legato all’automazione, che in Polonia è iniziata un po’ più tardi rispetto ad altri Paesi. Abbiamo iniziato relativamente di recente a utilizzare robot di ultima generazione. Avviando una nuova era nell’industria automobilistica locale negli anni ’90, abbiamo approfittato della manodopera a basso costo che attirava grandi investimenti dall’estero. Quindi, abbiamo sfruttato questo vantaggio per una grande parte della produzione.
In posti dove la manodopera costa di più si è accelerato il processo di automazione delle linee produttive. C’è poi da considerare che nel 2019 le Case hanno dismesso la produzione di molti modelli e che nel 2020, con il Covid, abbiamo vissuto una situazione molto particolare. Quindi, direi che rispetto a quegli anni, oggi per ogni lavoratore si produce un numero doppio di veicoli. Non so se i dati si riferiscono a quel momento storico unico. Credo anche che in futuro, quando la produzione salirà a 600.000 veicoli all’anno o addirittura a 800.000, la forza lavoro aumenterà, ma non allo stesso ritmo di crescita”.
Vorrei passare alla connettività e alla raccolta dati, che è una questione di stretta attualità. Vado dritto al punto: chi è che possiede e conserva i dati?
“Bella domanda! Quindici anni fa era tutto facile. Non si sapeva dove una persona si trovava, con chi si vedeva, a che velocità andava… Ora è tutto molto complicato. I dati sono, in mia opinione, la cosa più importante della nuova era della mobilità. Ci sono almeno tre problemi da affrontare. Prima di tutto c’è una questione legata alla privacy: quando sei a bordo di un veicolo connesso, tu fornisci tantissime informazioni a un soggetto esterno. Sono informazioni sul tuo stile di guida ma anche informazioni personali, che in generale non si vogliono dare a nessuno. C’è poi un secondo problema. Soggetti terzi, entrando in possesso di tutte quelle informazioni, potrebbero usarle per loro tornaconto. Penso alle assicurazioni ad esempio. Sapendo il mio stile di guida e di vita potrebbero adattare il prezzo della polizza verso il basso o verso l’alto. Il terzo problema riguarda il limite di diffusione di questi dati ad altri. Fino a che punto possono condividerli con altri”.
Ma quindi, questi dati di chi sono?
“Sono del Costruttore dell’auto”.
Secondo lei il consumatore è consapevole della condivisione delle informazioni con la Casa automobilistica quando acquista un’auto connessa? La Commissione sta lavorando su questo tema perché non sembra che ci sia grande trasparenza.
“Se i dati raccolti servono a darti un miglior servizio e questi dati sono conservati in modo sicuro, allora non c’è niente di sbagliato. Però, il fatto, è che ci sono tanti altri soggetti che sono collegati a chi detiene quei dati e che avrebbero necessità o interesse di entrarne in possesso. Questi soggetti hanno accesso ai dati? E se sì, ce l’hanno in modo corretto? È qui che sta il centro del problema. Quante informazioni posso trasmettere agli altri. E che tipo di informazioni posso condividere. Le Case devono chiedere il permesso ai loro clienti per la diffusione dei dati”.
È anche vero che se gli OEM non condividono i dati che raccolgono con terzi, possono sfruttare una posizione di vantaggio che non è corretta. Penso ad esempio alle officine indipendenti, che senza l’accesso a tutta una serie di informazioni che le Case raccolgono dai loro clienti non possono intervenire con altrettanta professionalità su una vettura guasta. In questo caso la condivisione dei dati è fondamentale.
“Quando si progetta un nuovo veicolo si spendono moltissimi soldi. L’investimento è ingente e deve dare un ritorno economico. Per gli OEM e per i fornitori, che sono coinvolti in vari gradi nella progettazione del modello. Allora, è giusto che un’officina indipendente possa avere accesso ai dati inerenti alle tecnologie utilizzate per poter offrire un servizio concorrenziale, ma è anche giusto – e ciò accade – che paghino un canone o una fee per ottenere le informazioni dalle Case produttrici. C’è da dire che di solito, un’officina autorizzata è sottoposta a controlli più stringenti e, anche sulla gestione dei dati, è possibile che adotti procedure più rigide, imposte dalla Casa stessa. Non si può generalizzare, ma in media c’è più sicurezza. Non voglio dire che le officine indipendenti siano peggio, ma sono sottoposte a un minor controllo”.
Però, se io guido un’auto moderna che è connessa con la Casa che la produce, in caso di guasto, questa auto segnalerà in automatico il problema alla Casa, che mi metterà in contatto con l’assistenza ufficiale. In questo caso, un’officina indipendente è tagliata fuori in origine dalla possibilità di intervenire. Che posizione ha lei a questo proposito?
“Ci sono discussioni in atto su questo tema. Le officine autorizzate devono anche pagare molti soldi per avere gli strumenti offerti dalla Casa sulla diagnostica. Quindi, se un’officina indipendente potesse avere accesso a tutte le informazioni che un OEM condivide con la propria rete ufficiale, sarebbe questa in posizione di vantaggio. Una soluzione a questo problema è difficile da trovare. Ma in futuro forse potremmo costruire un sistema di assistenza simile a quello degli elettrodomestici, dove c’è un produttore, c’è una rete vendita che fornisce ricambi e informazioni ai professionisti e una rete assistenza completamente indipendente dal produttore stesso. Così tutti possono giocare alla pari. Sarà interessante vedere come evolve il settore. Però, c’è da tenere presente la questione inerente alla sicurezza. Le auto ora sono molto complesse. Se quindici anni fa sostituire i freni era semplice su praticamente ogni vettura, oggi non è così. Servono competenze molto più approfondite. Se si svolgono riparazioni in modo non corretto si mette a rischio l’incolumità del guidatore e anche di altre persone”.
Sono d’accordo. Ma questo fa parte delle informazioni tecniche che, come detto, sono già in un certo senso accessibili a tutti, a fronte del pagamento di una somma di denaro. Parliamo ora dei dati raccolti in real time. Quelli legati allo stile di guida, alle abitudini, ai percorsi. Qui le barriere degli OEM sono ancora alte.
“Su questo aspetto la faccenda si complica ulteriormente. Con le auto connesse la quantità di informazioni che sono raccolte e condivise tra vetture e infrastrutture esterne è gigantesca e deve essere gestita correttamente. È normale che le Case alzino barriere: lo fanno per la sicurezza. Senza cybersecurity tutte queste informazioni potrebbero entrare nelle mani di soggetti che potrebbero usarle per scopi completamente diversi da quelli per cui quelle informazioni sono state generate. Ricordiamoci che qualche anno fa, passando dal software dell’infotainment, un hacker è riuscito ad accedere all’acceleratore e al freno di un’auto a distanza. È una sorta di terrorismo. Un conto è che si faccia una cosa del genere solo a scopo dimostrativo; un conto è che si possa entrare in possesso di un camion cisterna con 20.000 litri di benzina e lo si comandi in remoto. Può essere pericolosissimo”.
E l’industria si sta muovendo bene affinché questo non accada?
“Assolutamente sì. Ci sono sforzi concreti per arrivare ad azzerare gli incidenti mortali in Europa. E le statistiche confermano buoni progressi in questo senso. Ma il problema della condivisione dei dati va oltre l’universo automobilistico. Viviamo in un’era in cui consentiamo alle grandi aziende di entrare sempre di più nelle nostre vite. Si pensi all’uso degli smartphone, tanto per fare un esempio. Ci va bene, perché ci consente di avere accesso a servizi migliori. È una cosa da imparare a maneggiare da parte di tutti”.
Abbiamo detto che le auto accumulano un’enorme quantità di dati. Alcuni sono archiviati nell’auto stessa, altri finiscono nel cloud. Domanda: nel momento in cui io vendo la mia auto a un’altra persona, chi si occupa di cancellare tutti quei dati?
“Niente scompare dai server. C’è anche una sentenza che lo prova. I dati detenuti dai produttori di veicoli sono sicuri, ma la questione riguarda la protezione dei dati raccolti da terzi. Al momento una soluzione non è ancora stata trovata ed è un grande problema. Però, è anche vero che per quanto ne so il nuovo proprietario non può in nessun modo accedere alle informazioni inerenti al precedente proprietario. Se invece parliamo delle informazioni che sono a disposizione degli utenti, come i percorsi abituali, gli indirizzi, i numeri di telefono, le preferenze musicali, allora è compito del soggetto che vende l’auto cancellarle. In questo caso non è questione di forzare i sistemi o aggirare la sicurezza del software, ma di buon senso”.
Ok, ma ci sono istruzioni su come resettare l’auto?
“Sì, devono essere riportate nel manuale di uso e manutenzione. C’è l’opzione ‘ripristina le impostazioni di fabbrica’. Dal sistema cancelli tutte le informazioni e le rendi irreperibili al nuovo proprietario. Se non lo fai, è tua responsabilità”.
È anche vero che il consumatore è consapevole che nel suo smartphone ha foto, carte di credito e tanti altri dati personali. Ma sull’auto questa consapevolezza ancora non c’è. Non è diffusa. E se resetto l’auto, cancello tutte le info dai sistemi delle Case automobilistiche?
“I dati restano archiviati da qualche parte, ma nessuno può avere accesso a quelle informazioni in modo legale. Ma, di nuovo, è la stessa cosa che si deve fare con un computer o un telefono. È il proprietario che deve gestire con attenzione i propri dati”.
Veniamo al progetto Izera. L’auto elettrica della Polonia. Cosa ne pensa?
“Non credo di essere la persona giusta per parlare di questo progetto perché so quello che si legge sui giornali. Ma so che c’è l’intenzione di avviare la produzione tra due o tre anni. Attualmente stiamo preparando il terreno per la costruzione di una fabbrica. Poi so che è stata scelta l’azienda che gestirà la produzione e che Geely sarà partner per la fornitura della piattaforma e per il supporto ai processi. Al momento, però, ci sono più domande che risposte su questa auto elettrica”.
Il fatto che l’auto polacca usi tecnologie cinesi non è come un Cavallo di Troia che consentirà l’ingresso della Cina nel Paese. Cina e India sono una vera minaccia all’Europa e alla Polonia?
“Sempre più produttori cinesi vengono in Europa e dobbiamo farci i conti. L’industria automobilistica cinese è enorme. Deve trovare nuovi sbocchi. Ha trovato la Russia, ma non basta. Allora, il trucco è trovare il modo di competere alla pari con la Cina. In più, con la transizione ecologica e il passaggio alle auto elettriche, il mondo dell’auto sta cambiando profondamente. Uno degli amministratori delegati di un importante produttore automobilistico ha inoltre affermato che con l’elettrificazione acquistare un’auto sarà sempre più complicato anche per la classe media.
Quindici anni fa si poteva comprare una buona vettura a 10.000 euro. Oggi non è più così. Si deve mettere in conto quasi il doppio. Il prezzo è ancora importante per molte persone che vivono in Europa. Forse le auto cinesi potranno fare comodo a una fetta importante della nostra popolazione. Le Case cinesi hanno fatto fatica quando abbiamo prodotto e venduto principalmente auto termiche, ma ora è diverso e dobbiamo fare i conti con questi nuovi scenari. Il problema è serio per l’occupazione e l’economia di interi Paesi. Le istituzioni devono capire che per la prima volta nella storia il passaggio verso una nuova forma di mobilità è stato deciso dalla politica e non dal mercato. Ora devono trovare il modo migliore per affrontare il cambiamento”.