Cassazione: al motociclista che va a 230 km/h nessuna colpa "automatica?
Non basta stabilire che il motociclista viaggiava a velocità estrema per attribuirgli la colpa principale. Lo stabilisce la Cassazione

Non basta stabilire che il motociclista viaggiava a velocità estrema per attribuirgli la colpa principale. Lo stabilisce la Cassazione
Un'interessante sentenza, depositata nella cancelleria della Corte di Cassazione, IV sez. Penale, il 10.2.2015, la n. 5984/15, ha fissato un principio importante, con riguardo all'attribuzione della responsabilità negli incidenti stradali. In sostanza, gli Ermellini rinviano alla Corte d'Appello di Lecce-Taranto un caso di incidente mortale in cui la velocità estremamente elevata della vittima l'aveva fatta dichiarare colpevole al 70% dell'evento lesivo. Nonostante l'imputato per omicidio colposo, un automobilista, avesse compiuto una manovra severamente vietata, quale il superamento della doppia striscia continua per entrare in un distributore. La velocità del motociclista, definita dai giudici di primo grado “del tutto spropositata”, in quanto presumibile tra i 220 e i 240 km/h, per i giudici del Tribunale di Taranto avrebbe svolto un ruolo di gran lunga preponderante nella causazione del sinistro. Ma non si può ignorare, in casi del genere, la necessità di stabilire l'effettivo apporto causale delle parti, confrontando le condotte, in una verifica controfattuale alla stregua della cosiddetta “prognosi postuma”, che stabilisca anche come sarebbero andate le cose se la vittima avesse tenuto una velocità entro i limiti. Questo è ciò che sostiene la Suprema Corte, e, per questo, annulla la sentenza e rimette il processo in grado d'appello.
UNO SCONTRO TRAGICAMENTE FREQUENTE – Si tratta purtroppo di una tipologia di collisione tragicamente frequente. Il motociclista che sorpassa, laddove non sarebbe autorizzato, e l'automobilista che si butta nella corsia opposta, per entrare in un luogo privato, in questo caso un distributore, non vedendo arrivare il motociclista e sottovalutando drammaticamente le possibili conseguenze della sua manovra. Nel caso di specie, in quel punto della statale Bari-Taranto, l'imprudenza e la sfortuna andavano a braccetto quando un automobilista, pur di non fare lunghi giri per andare a far benzina, si buttava nel distributore sito presso la corsia di senso opposto, valicando quella barriera virtuale rappresentata dalla doppia striscia continua. Non avvedendosi l'automobilista, che un motociclista stava procedendo a velocità elevatissima dietro di lui, in procinto di tentare un sorpasso che gli sarebbe costata la vita.
IN PRIMO GRADO E IN APPELLO LA COLPA VA AL MOTOCICLISTA – Trattandosi di processi penali volti ad accertare la sussistenza del reato di omicidio colposo, considerando che una colpa anche minoritaria del conducente che non è morto porta questi alla condanna, l'automobilista è stato comunque condannato per omicidio colposo. Ma gli eredi non ci stanno, a loro non è bastato. Perché in primo grado e in appello, la colpa della vittima viene graduata nella misura del 70%. Questa statuizione ha conseguenze anche sul piano economico: la vita del motociclista, come ogni vita “irrisarcibile”, verrebbe così “pagata” dall'assicurazione dell'automobilista ai familiari della vittima nella misura di un terzo del totale. Sia il Tribunale di Taranto che la Corte d'Appello hanno tagliato corto sulla vicenda, visto che i periti hanno concordato nello stabilire che il centauro viaggiava a una velocità compresa tra i 220 e i 240 km/h, una velocità “del tutto spropositata” per usare le parole del Giudice di primo grado. Ma la misura “spannometrica” nell'attribuzione della colpa per incidenti stradali non è utilizzabile, specie quando c'è di mezzo un morto. Per questo gli Ermellini, senza prendere posizione su una questione di merito, per definizione non di loro competenza, rinviano la causa nuovamente alla Corte d'Appello, perché valuti in maniera approfondita gli apporti causali delle condotte dei due conducenti, senza scorciatoie dettate da pregiudizi, o da impliciti ragionamenti che rasentano il luogo comune (chi va 240 all'ora…se la va a cercare).
LA VERIFICA: INCIDENTE EVITABILE? – Prendendo spunto da passaggi delle sentenze di merito, i Giudizi di Piazza Cavour sottolineano che il sorpasso di un motociclista non può considerarsi imprevedibile, per il conducente che si accinga a violare gravemente il codice della strada. Inoltre, sempre richiamando statuizioni dei Giudici di merito, La Corte precisa che in assenza del veicolo condotto dall'automobilista imputato, l'incidente non si sarebbe verificato, nonostante la velocità elevatissima del motociclo. Nonostante queste considerazioni, presenti nella sentenza della Corte d'Appello, rilevano gli Ermellini che questa si è sottratta dichiaratamente a quello che doveva essere il punto nodale del giudizio: ovvero la verifica controfattuale alla stregua della cosiddetta “prognosi postuma”, per stabilire se una condotta diversa del motociclista, quale il transito nel rispetto dei limiti di velocità, avrebbe potuto evitare l'incidente o causare danni inferiori. Questo è il tema centrale della decisione che avrebbero dovuto prendere le corti di merito, secondo i Magistrati di Cassazione, ma per i Giudici di secondo grado tale questione è “irrilevante”. La mancanza di una motivazione approfondita sull'attribuzione della responsabilità nella misura del 70% alla vittima, è per gli Ermellini una carenza motivazionale, e per questo la sentenza viene annullata e il procedimento rimesso in grado d'appello per una nuova decisione.