Giovani alla guida: che fine ha fatto il modello genitoriale? Quando il dito puntato del giudizio tende verso un’unica

Giovani alla guida: che fine ha fatto il modello genitoriale?

Quando il dito puntato del giudizio tende verso un’unica, erronea, direzione il colpevole diventa chi impara e non chi dovrebbe insegnare

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4 Novembre 2022 - 07:11

Nessuno nasce imparato, ma si inizia ad apprendere fin dai primi momenti di vita. Perché allora ci si ostina a puntare il dito contro i giovani, e non verso coloro che dovrebbero insegnare con l’esempio? Apparentemente sembriamo ben consapevoli che bambini e ragazzi sono inesperti e necessitano l’affiancamento di una guida, soprattutto se si tratta di un compito complesso come il mettersi al volante. Fattivamente, però, si tende costantemente a puntare il dito contro i giovani, sottolineandone la pericolosità. E se fosse arrivato il momento di invertire la rotta? Dov’è finito il modello genitoriale?

GIOVANI E APPRENDIMENTO: IL RUOLO DELL’OSSERVAZIONE

Tra le prime forme di apprendimento troviamo quella di tipo vicario. Apprendiamo osservando gli altri, in particolare i modelli di riferimento (i genitori). Per valutare l’influenza degli altri sul nostro comportamento, Bandura ha effettuato un esperimento conosciuto come “Bobo Doll”. Formò tre gruppi di bambini in età prescolare:

– nel primo gruppo un collaboratore si mostrò aggressivo nei confronti del pupazzo Bobo, picchiandolo con un martello e gridando;

– nel gruppo di confronto un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno senza manifestare alcun tipo di aggressività;

– il gruppo di controllo era formato da bambini che giocavano da soli e liberamente, senza alcun modello.

I bambini venivano condotti poi in una stanza nella quale vi erano giochi neutri. Poté verificare che i bambini che avevano osservato l’adulto picchiare Bobo manifestavano un’incidenza maggiore di comportamenti aggressivi rispetto agli altri gruppi. Nel 1961 Bandura dimostrò così che il comportamento aggressivo nei bambini può essere appreso per imitazione.

IL MODELLO GENITORIALE COME SPECCHIO DEL COMPORTAMENTO ALLA GUIDA

E se fossero i bambini a giudicare il comportamento dei genitori al volante? Nel 2015 Ford ha condotto una ricerca su 2.000 bambini europei, tra i 7 e i 12 anni in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. I risultati dicono che:

– il 66% dei bambini è sicuro nell’affermare che gli adulti, alla guida, “non si comportano bene”. La maggior parte dei genitori tende a lasciarsi andare a espressioni di nervosismo e a utilizzare un linguaggio offensivo nei confronti degli altri automobilisti, di fronte ai propri figli;

– molti affermano che i genitori hanno la cattiva abitudine di cantare stonando e di mettersi le dita nel naso;

– il 63% dei bambini afferma che spesso i genitori cercano di distrarli con smartphone e tablet. Dispositivi che vengono maneggiati quando già si trovano al volante.

Cattive abitudini, comportamenti aggressivi e utilizzo di devices alla guida sembrerebbero, dunque, far da padrone quando i genitori si mettono al volante.

MODELLO GENITORIALE E CONSEGUIMENTO DELLA PATENTE: SE LA SOLUZIONE FOSSE L’ASCOLTO?

I genitori potrebbero essere un valido supporto nel percorso di conseguimento della patente. Se, però, sembra difficile far modificare loro il comportamento scorretto al volante, ecco che si può puntare sull’ascolto e sul supporto emotivo. L’Italia si trova nella Top 10 dei neopatentati più ansiosi. Oltre cause tangibili come la congestione del traffico e la cattiva condizione delle infrastrutture, un ruolo cruciale sembra essere rivestito dalla motivazione. Molti sono i giovani che si apprestano a conseguire la patente non per una motivazione interna, ma spinti da altri, in particolare dai genitori. Cosa succede? I compiti svolti per volere di altri, lo sappiamo, vengono fatti di malavoglia e sono portatori di vissuti negativi, come ansia, paura e potenziale insuccesso che va a pesare sull’autostima. Un primo passo, tanto banale quanto fondamentale, per essere porto sicuro e crescere “guidatori consapevoli” è quindi l’ascolto. Quello attivo, empatico e non giudicante.

Contributo a cura di Marianna Martini – Psicologa del Traffico

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