
Nonostante l'aumento delle quote di raccolta, la gestione degli pneumatici fuori uso rimane problematica per gommisti e officine
La gestione degli pneumatici fuori uso (PFU) in Italia è una questione complessa che si ripropone ciclicamente, portando con sé problematiche ambientali, economiche e di sicurezza. Nonostante l’intervento del Ministero dell’Ambiente, che ha innalzato del 10% la soglia di ritiro annuale, l’incremento non è stato sufficiente a contenere un’emergenza che da anni affligge alcune officine e i rivenditori di pneumatici più dislocati.
PFU ACCUMULATI NELLE OFFICINE: UN PROBLEMA CHE RITORNA
Gli pneumatici fuori uso rappresentano un rischio concreto quando non si accumulano nelle officine, perché tolgono spazio (limitando la sicurezza operativa) ma anche perché possono alimentare un eventuale principio di incendio. Ma anche quanto restano all’aperto, possono alla lunga creare problemi ambientali e di salubrità. Un quadro già critico, che si aggrava con l’innalzamento dei tempi di raccolta, come abbiamo scritto di recente riportando le dichiarazioni di Fabio Bertolotti, direttore di Assogomma.
L’attuale sistema di gestione degli PFU è basato su quote annuali di raccolta stabilite in funzione del numero di pneumatici immessi sul mercato nell’anno precedente. Purtroppo, i consorzi autorizzati al ritiro interrompono le operazioni una volta raggiunte le soglie previste, lasciando quindi una quota di pneumatici non raccolti presso le officine, generalmente quelle più lontane dal centro o più in collina, che comporterebbero maggiori costi operativi. In un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, Antonella Grasso, responsabile CNA Gommisti, spiega che il problema risiede nel fatto che tali quote non riflettono la reale esigenza di raccolta di PFU. Infatti, sebbene le somme destinate allo smaltimento siano già state versate dagli automobilisti come “contributo PFU” al momento dell’acquisto di nuovi pneumatici, la quantità di gomme da smaltire supera quella prevista, generando un accumulo presso i rivenditori. Su questo aspetto un ulteriore elemento di distorsione è rappresentato dal commercio online.
L’EXTRA SOGLIA DEL +10% NON RISOLVE L’ACCUMULO DI PFU DA RITIRARE
La vendita di pneumatici attraverso piattaforme digitali cresce esponenzialmente, spesso a scapito della legalità fiscale. Evadendo l’IVA e non versando il contributo ambientale che va versato anche quando si comprano le gomme online, perché necessario per il futuro smaltimento, si crea uno squilibrio di pneumatici venduti “illegalmente” che sfuggono al sistema di raccolta, aumentando il carico di lavoro sul sistema di raccolta.
Per tamponare l’emergenza PFU il Ministero dell’Ambiente ulteriori ha disposto l’aumento della soglia di ritiro dal 95% al 105% di quanto immesso sul mercato, pur essendo un passo avanti, si è rivelato insufficiente. Il problema strutturale e sistemico – difatti – rimane irrisolto poiché la capacità di raccolta resta sottodimensionata rispetto al volume effettivo di pneumatici da raccogliere e smaltire.
INTERVENTI PRIORITARI PER IL PROBLEMA DEGLI PFU
Il mancato ritiro degli pneumatici comporta un aumento dei costi per le officine, che devono trovare soluzioni temporanee per lo stoccaggio, incrementando così il rischio di sanzioni per il superamento delle capacità di deposito consentite. Alla luce di queste criticità, il settore attende diversi interventi radicali:
- ripensare il modello di gestione degli PFU, introducendo meccanismi più flessibili e trasparenti che possano adattarsi alle dinamiche del settore;
- maggior controllo delle vendite online, per evitare l’evasione fiscale e garantire il versamento del contributo ambientale;
- aumentare le risorse destinate alla raccolta e allo smaltimento degli PFU e rivedere il rigido vincolo annuale delle quote, che predilige la raccolta presso i centri più facilmente raggiungibili.
Il tavolo di confronto convocato dal Ministero dell’Ambiente per la fine di settembre sarà quindi un’occasione importante di discussione e definizione di soluzioni a lungo termine.