Auto d’epoca: quando scattano i controlli del fisco Il possesso di un’auto d’epoca è una spia della capacità contributiva del proprietario? Può fare scattare verifiche dell’Agenzia delle entrate?

Auto d’epoca: quando scattano i controlli del fisco

Il possesso di un’auto d’epoca è una spia della capacità contributiva del proprietario? Può fare scattare verifiche dell’Agenzia delle entrate?

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9 Maggio 2022 - 03:05

Auto d’epoca che passione. Il possesso di una vettura che ha fatto la storia dell’automobilismo regala grandi soddisfazioni agli appassionati. Anzi, per molti è un vero e proprio investimento. Lo è a tal punto da spingere a spendere molto denaro non solo per l’acquisto, ma anche e soprattutto per mantenerla in ottime condizioni. Perché in fondo è proprio questo il punto: se auto d’epoca deve essere, deve mostrarsi in tutto il suo splendore. Anche in un’ottica di futura rivendita e non necessariamente per esibirla nelle manifestazioni pubbliche e private. C’è però un punto che vale la pena approfondire: il possesso di una o più auto d’epoca fa scattare i controlli del fisco? L’intestazione di un veicolo così datato ma anche così di valore è indice di una maggiore capacità contributiva? Possono scattare verifiche dell’Agenzia delle entrate anche se l’auto d’epoca rimane sempre ferma in un garage? Approfondiamo la questione facendo riferimento a una importante ordinanza della Corte di Cassazione.

QUANDO SI PARLA DI AUTO D’EPOCA

Prima di entrare nel dettaglio delle disposizioni relative ai controlli del fisco, è certamente utile capire quando un veicolo è considerato un’auto d’epoca. I requisiti sono due:

– se ha più di 20 anni di età dalla data di costruzione;

– se è stata radiata dal Pubblico registro automobilistico.

Sebbene non possa circolare su strada, a differenza delle auto storiche, può comunque partecipare a esposizioni o mostre. Da segnalare a tal proposito l’istituzione dell’Aci storico per la salvaguardia del grande patrimonio motoristico italiano, curato dallo stesso Automobile Club d’Italia. Il punto a cui prestare attenzione è il costo di mantenimento delle auto d’epoca. Non tanto e non solo in riferimento alle tasse. Anche perché solo le auto d’epoca con meno di 30 anni sono soggette al versamento del bollo auto. Quanto piuttosto per le spese associate alla custodia del mezzo ovvero quelli relativi a un eventuale garage per preservarne l’integrità. O per quelle di manutenzione generale. La diatriba tra contribuente e fisco riguarda proprio l’importanza da assegnare a questi costi. Manifestano una reale capacità contributiva? Fino a che punto incidono sul tenore di vita?

AUTO D’EPOCA, LA LITE TRA AGENZIA DELLE ENTRATE E CONTRIBUENTE

Nella controversia sulle auto d’epoca al centro dell’attenzione della Corte di Cassazione era finito un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate. Al suo interno, gli uomini del fisco avevano evidenziato un’anomalia tra i redditi dichiarati e il tenore di vita. Il motivo? Il possesso di troppe proprietà e beni che, per il solo mantenimento, avrebbero bisogno di un rilevante impegno di spesa. Tra immobili, automobile e motocicli, avevano fatto capolino anche auto d’epoca. Per il contribuente il possesso di un’auto d’epoca non spostava gli equilibri economici. A suo dire, come si legge nell’ordinanza dei giudici “non avendo un’utilizzazione quale bene produttivo di reddito”, si trattava di un veicolo dal solo “valore affettivo” e “soggetto a limitazioni tali da garantirne l’uso sporadico”. In pratica non poteva evidenziare “una reale manifestazione di capacità contributiva”. Di parere naturalmente opposto l’Agenzia delle entrate secondo cui anche le auto d’epoca hanno un peso reddituale non trascurabile.

CONTROLLI FISCALI SU AUTO D’EPOCA: LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Insomma, le posizioni sono chiare. Da una parte il contribuente si dice convinto che il mantenimento di auto d’epoca non può costituire indice di capacità contributiva al pari delle auto ordinarie. Dall’altra l’Agenzia delle entrate assegna lo stesso valore. Nel mezzo c’era già stata una pronuncia della Commissione tributaria regionale che aveva condiviso le ragioni del contribuente. Ebbene, i giudici della Suprema Corte – con l’ordinanza numero 15899 del 2017 – hanno ribaltato questo orientamento. A loro dire, in tema di accertamento delle imposte sul reddito, il riferimento al possesso di auto “deve intendersi esteso” anche alle auto d’epoca. Non hanno riscontrato alcuna particolarità a giustificazione di un differente trattamento. La ragione? “La manutenzione di veicoli ormai da tempo fuori produzione comporta rilevanti costi, in ragione della necessità di riparazione e sostituzione dei componenti soggetti ad usura”. In sintesi, per la Cassazione il possesso di un’auto d’epoca è sinonimo di una migliore condizione reddituale. Al di là dell’uso che ne viene fatto.

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