Parcheggio per residenti pieno: il pass non autorizza la sosta selvaggia

Parcheggio per residenti pieno: il pass non autorizza la sosta selvaggia Secondo la Cassazione

Secondo la Cassazione, i residenti non hanno un "diritto soggettivo" a trovare disponibili i parcheggi nella loro zona

15 Dicembre 2015 - 11:12

La Corte Suprema di Cassazione, III sez. civile, ha depositato in data 30 novembre 2015 la sentenza n. 24353, con la quale ha confermato le pronunce dei giudici di merito, contro le richieste di un paio di automobilisti bergamaschi che avevano reagito a delle multe per parcheggio in sosta vietata con una linea difensiva originale. I ricorrenti infatti, anziché impugnare le multe per contestarne la regolarità, avevano citato direttamente il Comune davanti al GDP di Bergamo, chiedendo la sua condanna per “mancata vigilanza” sull'attività della polizia locale. Questa infatti, anziché rimuovere le auto parcheggiate nei posti per residenti senza il pass, avevano multato i ricorrenti, costretti a parcheggiare dove capitava, per mancanza di posti disponibili. Il ragionamento della Corte, che riprende quello espresso dal giudice di secondo grado, è imperniato sulla natura della pretesa che i ricorrenti potevano vantare nei confronti della P.A.: si tratta di interesse legittimo, e non di diritto soggettivo, di conseguenza essi non possono contestare le modalità con cui la P.A. esercita il proprio potere amministrativo.

UN CASO CERTAMENTE FREQUENTE – E' facile immaginarsi lo stato d'animo degli automobilisti che, dopo aver girato per molti minuti senza trovare un posto dove lasciare l'auto, abbiano deciso di rischiare, parcheggiando in divieto di sosta. E' altrettanto facile immaginare che abbiano guardato nel parabrezza delle auto che avevano tolto loro il posto, se fossero abusivamente parcheggiate negli stalli per residenti. Quindi, quando poi è arrivata la sanzione, sarà stato automatico pensare che il Comune, anziché multare loro, avrebbe dovuto multare gli “abusivi”, e magari rimuovere i loro veicoli, così da consentire il parcheggio a chi fosse munito di regolare permesso. Chissà poi come avranno reagito quando le sanzioni hanno cominciato a moltiplicarsi, fino a raggiungere la somma non indifferente di 1.178 euro. Ad ogni modo, per quanto lineare sia il ragionamento su un piano pregiuridico, non di meno esso è fallace sul piano giuridico, e gli Ermellini ci spiegano il perchè.

INTERESSE LEGITTIMO E DIRITTO SOGGETTIVO – Il nodo di tutta la vicenda è la natura della pretesa dei residenti di poter parcheggiare nei posti loro riservati. Secondo i ricorrenti essi hanno un diritto soggettivo al parcheggio e l'impossibilità di esercitarlo era da imputarsi alla culpa “in eligendo” e “in vigilando” del Comune, che non aveva ben impostato e controllato l'operato degli agenti della Polizia Locale.
Ma la Suprema Corte, come prima il Tribunale di Bergamo, non accoglie questa impostazione. Non di diritto soggettivo si tratta, ma di interesse alla legittimità di atti amministrativi, in una posizione di soggezione alla potestà pubblica, ossia in una posizione di interesse legittimo. Gli Ermellini rimarcano insomma che non c'è un rapporto di parità tra soggetti giuridici, ma “soggezione”, nel senso che i ricorrenti non possono pretendere che la P.A. eserciti la potestà amministrativa secondo le modalità che loro ritengono migliori. Peraltro, nota la Corte, i residenti con il pass per quella zona erano quasi il doppio rispetto al numero di stalli disponibili, quindi, già a monte, la P.A. aveva scelto di non assicurare il posto libero ai cittadini muniti di pass. In ogni caso la pretesa dei residenti a poter parcheggiare negli stalli riservati non può spingersi fino a giustificare la violazione deliberata delle norme di circolazione. A questo proposito gli Ermellini richiamano due precedenti (Cass. 21918/06 e 2490/12), con il quale era stato negato il diritto di parcheggiare in divieto per mancanza di sufficienti aree destinate a parcheggio, e, ai disabili, per mancanza della disponibilità di parcheggi appositi.

L'INSOFFERENZA PER LE MULTE E' SEMPRE PIU' DIFFUSA – Sotto all'analisi giuridica esposta in sentenza, e alle dissertazioni formali che hanno contraddistinto tutti e tre i gradi di giudizio, cova certamente un'insofferenza nei confronti delle sanzioni amministrative per violazioni del C.d.S., sempre di più viste come balzelli, come tasse nascoste, piuttosto che come strumento di garanzia del rispetto delle regole. Ciò è inevitabile, perchè ciò che totalmente difetta nell'azione della P.A. è la coerenza, che è un principio necessario affinchè le regole siano accettate. La mancanza di fondi degli Enti Locali provoca infatti sia la carenza di strumenti per garantire un'uniforme trattamento sanzionatorio a tutti gli utenti della strada, sia la necessità di folate di accertamenti a pioggia, in modo che chi ne rimanga colpito, si senta quasi un “capro espiatorio” o una “mucca da mungere”. Agli organi giurisdizionali non rimane che cercare di mediare (giudici di prossimità), o di chiarire l'interpretazione delle norme (appello e legittimità). Ma le regole dovrebbero essere sentite per l'importanza che hanno nel garantire una buona convivenza, non soltanto come giustificazione degli Enti Locali per fare cassa, come invece spesso sono percepite.

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