Google rottama le Firefly: le simpatiche auto sono obsolete e lente

Google rottama le Firefly: le simpatiche auto sono obsolete e lente Piccole

Piccole, tonde, "intelligenti" e tanto importanti per la guida autonoma: le Firefly di Google, ormai superate, pensionate dopo milioni di miglia

14 Giugno 2017 - 05:06

Cos'è la guida autonoma? In estrema sintesi un algoritmo di Intelligenza Artificiale (non lo si può chiamare software o programma) che gira su sofisticati computer alimentati da molti sensori; il tutto viene installato in un veicolo che viene da esso controllato. La guida autonoma dev'essere “insegnata” a delle reti neurali (come quelle che guidano l'auto-robot di Nvidia), o a dispositivi simili, e le complesse sperimentazioni che si stanno facendo servono principalmente a questo. Questa tecnologia nella declinazione attuale semplicemente non esisteva ed è per questo che Goolge-Waymo ha pensato di costruire, per iniziare a sperimentarla, un veicolo partendo da zero. Le celebri Firefly cedono ora il passo alle arrembanti Chrysler Pacifica ma non scompariranno: faranno viaggi d'addio e si riposeranno nei Musei.

NATA DA UN ORIGAMI Nel film-culto Blade Runner un inquietante personaggio lascia degli Origami a mo' di firma, per dire “sono stato qui”, e anche l'idea di Firefly è stata fissata in un origami, come testimoniato da YooJung Ahn, Lead Industrial Designer, e Jaime Waydo, Lead Systems Engineer di Waymo.

Il nesso (Nexus 6 era il modello degli androidi del film) potrebbe non fermarsi qui: i replicanti protagonisti del capolavoro film di Ridley Scott venivano provvisti di ricordi artificiali per renderli più umani e anche le auto-robot avranno bisogno di una “mente” capace di immagazzinare una mole enorme di dati e situazioni dalle quali attingere per cavarsela nel traffico. La piccola flotta delle Firefly è servita a questo come anche a definire l'hardware necessario (leggi di come la Polizia ha bloccato una Firefly giudicata sospetta).

MAI PENSATO DI PRODURLA I 2 tecnici raccontano come fosse chiaro sin dall'inizio che Firefly sarebbe stata una piattaforma per sperimentare e imparare, non per la produzione di massa.

Progettando e costruendo un veicolo a guida autonoma da zero lo staff è riuscito a risolvere alcuni dei più “antichi” rompicapo delle auto-robot: dove posizionare i sensori, come integrare il computer, quali devono essere i controlli a disposizione dei passeggeri in un'auto che guida da sola. Nel rispondere a queste domande, Firefly ha definito alcune delle caratteristiche più riconoscibili delle vetture di Waymo, come la cupoletta sul tettino. Posizionando i LiDAR e le telecamere in un punto centrale e in alto, i sensori possono “vedere” di più e meglio, mettendo il computer in condizione di elaborare i dati in modo più efficiente.

FASE PUBBLICA Le Firefly hanno permesso a Google (prima, ora Waymo: guarda la prima auto-robot realizzata con la FCA Pacifica) di percorrere molte tappe significative, come il primo test urbano al di fuori della città natale (Mountai View) e la percorrenza di milioni di miglia in modo autonomo, cosa che sappiamo essenziale per lo sviluppo della tecnologia.

 Il tragitto più emozionante ad oggi si è svolto il 20 ottobre del 2015, quando una Firefly attraversava, con il primo viaggio veramente autonomo (non c'era un pilota umano di backup), un quartiere di Austin con a bordo il non vedente Steve Mahan. A detta dei tecnici, questo è stato reso possibile grazie alla potenza e alla sicurezza dei sistemi che sono stati sviluppati su Firefly. Le fasi successive, prima sui grossi SUV Lexus (leggi che la Google Car riconosce anche i ciclisti) e poi sulle Pacifica, segnano il ritiro della flotta delle Firefly e la focalizzazione sull'integrazione della tecnologia in veicoli di serie, sui quali il sistema non avrà la velocità limitata a 25 km/h delle Firefly. Le piccole pioniere percorreranno ancora diverse miglia: in agosto una di loro partirà verso l'Arizona Science Center di Phoenix per poi andare, in ottobre, ad Austin per celebrare il biennio del primo storico percorso con Steve Mahan. Due di loro riposeranno invece in altrettanti musei, una nel Computer History Museum di Mountain View e l'altrs al Design Museum di Londra.

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