Fiat Mirafiori: addio al Suv Alfa – Jeep?

Fiat Mirafiori: addio al Suv Alfa – Jeep? Lo stabilimento piemontese potrebbe perdere la produzione di un modello ad alto valore aggiunto in cambio di una meno remunerativa citycar del segmento "A". Sindacati in allarme

Lo stabilimento piemontese potrebbe perdere la produzione di un modello ad alto valore aggiunto in cambio di una meno remunerativa citycar del segmento "A". Sindacati in allarme

5 Settembre 2011 - 12:09

L'attenzione del mondo sindacale e industriale italiano, già assorbita dal compito di decifrare le intenzioni del governo in merito alla manovra di aggiustamento dei conti, è bruscamente tornata a concentrarsi sulle vicende Fiat a causa delle indiscrezioni rese pubbliche qualche giorno fa dall'agenzia d'informazioni americana Bloomberg.

FONTE ANONIMA – Secondo l'agenzia, che riferisce notizie provenienti da una fonte che desidera restare anonima, l'ad Fiat Sergio Marchionne starebbe pensando di spostare negli stabilimenti centro-nordamericani la produzione del Suv su base comune, ma declinato con i marchi Alfa Romeo e Jeep inizialmente assegnato a Mirafiori in base a un piano d'investimenti per circa un miliardo di euro annunciato lo scorso novembre. Se deliberata, l'iniziativa avrebbe portato alla presentazione del nuovo modello verso la fine del 2012 con una cadenza produttiva a regime di circa 280 mila veicoli l'anno. Al posto del Suv, Mirafiori otterrebbe ora la produzione di una citycar prevista (forse) a partire dal 2013. Sempre secondo le indiscrezioni, il cambio di strategia sarebbe motivato dal rafforzamento dell'euro, che dallo scorso novembre 2010 si è apprezzato di circa il 9% nei confronti del dollaro, rendendo antieconomica la produzione in Europa di un modello destinato in gran parte al mercato americano.

LE MOTIVAZIONI LOGICHE… – Sui veri orientamenti dell'azienda al Lingotto le bocche sono per ora cucite, anche l'argomento è già stato discusso a Torino nei giorni scorsi. L'unica dichiarazione ufficiale afferma che si stanno esplorando tutte le alternative possibili per impiegare le 5 mila maestranze di Mirafiori in attività produttive economicamente razionali per i conti di Fiat. Ovviamente, però, non è dato sapere a quale dei due aspetti verrà eventualmente data la precedenza. Secondo le logiche industriali, l'idea di spostare la produzione del Suv Alfa Romeo-Jeep non sarebbe certamente priva di senso. Oltre ai costi di produzione in Europa, che certo risultano meno favorevoli di quelli americani se l'euro sale rispetto al dollaro, c'è da mettere in conto anche quelli, elevati, relativi al trasporto delle vetture da uno stabilimento europeo ai mercati del nuovo continente. Sulla decisione finale di Fiat, però, potrebbero pesare anche altri fattori. Per esempio, spostare al di là dell'Atlantico la produzione del nuovo Suv costituirebbe certo un'ulteriore arma di pressione sulle residue energie di quella parte dei sindacati italiani che ancora si oppone ai piani del Lingotto. Inoltre, in Europa il gruppo Fiat sta perdendo quote di mercato proprio nei segmenti che gli sono più congeniali, quelli delle utilitarie, mentre appare sempre più chiaro che il tentativo di far accettare le vetture di questi segmenti agli automobilisti americani (per esempio la Fiat 500, peraltro prodotta in Messico) stenta a dare i risultati sperati, e forse non li darà mai. Quindi, in Europa c'è bisogno di un modello dai grandi volumi produttivi da affiancare al terzetto Panda-500-Ypsilon e che possa risollevare le vendite Fiat nel settore delle “piccole”. Tale modello non può che essere prodotto in Europa. Se a Mirafiori o altrove, poi, si vedrà.

…E QUELLE MENO LOGICHE – Tuttavia, vi sono anche altre considerazioni che potrebbero rendere meno scontata la decisione di Fiat di privare Mirafiori del Suv promesso. È indubbio che le eventuali inefficienze produttive e/o logistiche italiane, ammesso che esistano, possono essere meglio assorbite dalla produzione di un veicolo ad alto valore aggiunto come un Suv piuttosto che in quella di una micro-utilitaria del segmento “A”, dal prezzo di listino e dai margini che si presumono più contenuti. Inoltre, sempre sotto l'aspetto dei costi, se è vero che trasportare al di là dell'Atlantico un'auto costruita in Europa è costoso, lo è anche l'operazione inversa, e benché la Suv Alfa-Jeep sembri destinata in buona parte al mercato americano, potrebbe avere una buona accoglienza anche su quelli del vecchio continente, soprattutto se proposta a un prezzo “giusto” (il caso Fiat Freemont può insegnare qualcosa). Tuttavia, se così fosse, ciò farebbe riemergere almeno in parte il problema dei costi del trasporto, questa volta dagli stabilimeti americani ai mercati europei. C'è poi la questione dei rapporti Fiat-sindacati. Quelli italiani potrebbero interpretare la “migrazione” oltreoceano del Suv come un vero affronto, una specie di tradimento delle aspettative suscitate dal piano da un miliardo di euro annunciato da Fiat meno di un anno fa per Mirafiori. Tutto ciò, oltre a non appianare i contrasti tuttora esistenti tra l'azienda e l'ala sindacale “dura” della Fiom, che ha sempre giudicato le posizioni “morbide” delle altre sigle come il modo migliore per consentire all'azienda di fare ciò che vuole, ha fatto storcere il naso anche a queste ultime, che pure avevano approvato le posizioni aziendali in fatto di revisione dei contratti di lavoro. Dal fronte “duro” risultano significative, all'indomani delle indiscrezioni di Bloomberg, le parole di Giorgio Airaudo, delegato Auto di Fiom: «È evidente che non esiste più un piano produttivo di riferimento. L'azienda ha ottenuto di avere le mani libere rispetto al Paese e a Torino. Per vedere tutti i dipendenti e gli spazi occupati in modo produttivo, Fiat ha bisogno di prodotti sofisticati e giustificati dal punto di vista dei volumi. Se fosse vero che all'Italia è destinata solo la produzione di auto a basso margine come Panda o Citycar, le prospettive restano incerte». Infine, sempre in tema di contratti, c'è da ricordare che anche quello dei metalmecccanici americani deve essere rinnovato a breve, e non è escluso che Marchionne dovrà fare laggiù qualche concessione che potrebbe portare a un aumento del costo del lavoro. E ciò si rifletterebbe in qualche modo anche su quello dell'operazione “Suv negli Usa”.

GLI “ALFISTI” NON SAREBBERO CONTENTI – Fin qui, le considerazioni “razionali” della complessa partita che si sta giocando sull'affollata scrivania di Marchionne. Ve ne sono però alcune che invadono il campo delle emozioni e che potrebbero/dovrebbero (o forse non dovrebbero affatto) avere il loro peso. Dai tempi del passaggio di Alfa Romeo al gruppo Fiat, i clienti del Biscione hanno dovuto digerire l'abbandono progressivo dei tradizionali contenuti della marca in favore della sua “torinizzazione”. Molti di loro, o forse i loro figli, rimpiangono ancora i leggendari propulsori Alfa e la trazione posteriore “transaxle”, nel tempo sacrificati in favore della meno costosa ma “banale” trazione anteriore. Insomma, gli alfisti più romantici e affezionati a tali prerogative non hanno mai accettato completamente le argomentazioni tecnologiche secondo le quali i dispositivi elettronici moderni (ABS, ESP, ASR e via dicendo) annullano le differenze tra i due tipi di trazione declinati secondo i vari schemi di sospensioni. In molti casi, purtroppo, i loro mugugni si sono tradotti in una certa “desertificazione” dei saloni Alfa Romeo. Molti di questi clienti (va detto: compresi quelli che magari un'Alfa del passato non l'hanno mai guidata) sperano segretamente in un'inversione di tendenza che porti a una personalizzazione più spinta delle vetture in chiave Alfa Romeo e che possa distinguerle dalle Fiat. Per loro, la produzione negli Stati Uniti di un Suv con marchio Alfa potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso. Tuttavia, è certo che tali argomentazioni peseranno poco o nulla sulle decisioni finali di Torino, così come hanno pesato pochissimo nella recente “chryslerizzazione” della Lancia.

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