Dieselgate. 480 esperti e 100 Terabyte di dati: i numeri dell'indagine VW

Dieselgate. 480 esperti e 100 Terabyte di dati: i numeri dell'indagine VW Un Gruppo più agile

Un Gruppo più agile, etico e, nello stesso tempo, più controllato, con emissioni verificate esternamente: ecco la ricetta VW per uscire dal Dieselgate

11 Dicembre 2015 - 01:12

Volkswagen presenta le sue mosse per uscire dalla palude del DieselGate: una serie di soluzioni a tutto campo per venir fuori dallo scomodo angolo nel quale lo scandalo l'aveva costretta. Le spiegazioni addotte per definire l'incidente sono molte (anche se qualche dubbio rimane), così come le contromosse per recuperare l'immagine e l'integrità aziendali: vediamole assieme.

UN ESERCITO DI CONTROLLORI – Se le cifre del DieselGate sono impressionanti – solo per fare un esempio, i 40 miliardi che “ballano” in un'eventuale causa intentata dai grandi azionisti – anche le contromisure messe in campo sono poderose. In una conferenza tenutasi ieri alti esponenti del Gruppo – il Presidente del Consiglio di Sorveglianza di Volkswagen AG, Hans Dieter Pötsch, e il CEO Matthias Müller – hanno infatti esposto numeri rimarchevoli: gli esperti che stanno indagando sono infatti 450, fra interni ed esterni. Sembrano molti ma, dato che dovranno vedersela con 102 terabyte di dati “secured” (ad oggi) il loro numero non appare poi così esagerato. In effetti sono stati raccolti, da circa 380 dipendenti, più di 1.500 dispositivi elettronici di memorizzazione dei dati. Occorre tener conto di come le indagini siano due, con la prima focalizzata sui processi interni e la seconda, di tipo forense e affidata allo studio internazionale Jones Day (ha 40 sedi principali nei 5 continenti e centinaia di avvocati), che ha il compito di chiarire responsabilità legali. Questa seconda indagine, per la quale la law firm Jones Day si avvale del supporto della società di revisione Deloitte, avrà bisogno di più tempo (una relazione dovrebbe essere presentata durante l'Annual General Meeting che si terrà il 21 aprile 2016) non soltanto per la mole di dati da analizzare ma anche perché le conclusioni raggiunte dovranno essere a “prova di Tribunale”.

NASCITA DI UN MEGASCANDALO – L'audit interno ha identificato dei punti deboli che hanno facilitato la nascita del DieselGate: la cattiva condotta e le carenze dei singoli dipendenti, debolezze in alcuni processi e una mentalità, riscontrata in alcune aree dell'Azienda, piuttosto “elastica” riguardo a possibili violazioni delle regole. Interessante è poi l'affermazione che “carenze nei processi hanno favorito una cattiva condotta degli individui”. Ciò si è verificato, ad esempio, nei processi di test e certificazione che interessano le centraline di gestione del motore, che non erano adatti a prevenire l'uso del defeat device. Altro punto rilevante della relazione è la ricostruzione della catena di eventi (ed errori) che hanno portato allo scandalo, con il primo riassumibile nella decisione strategica, presa nel 2005, di “spingere” massicciamente i veicoli diesel negli Stati Uniti. In una prima fase i motori EA 189 non riuscivano a soddisfare – nei limiti di tempo e budget previsti – i limiti legali per le emissioni degli NOx (abbiamo spiegato il perché parlando dei nuovi test per i consumi previsti in Europa) e questo ha portato all'introduzione del software defeat device. In seguito si è perseverato anche quando l'efficace tecnologia SCR era stata adottata per ridurre le emissioni di NOx: essa non è stata infatti impiegata nel pieno delle sue potenzialità, forse per quel consumo eccessivo di AdBlue che avevamo citato parlando dei motori VW Euro 6.

FUORI I NOMI – Com'è, come non è, il software “bifronte” (che mostrava la faccia pulita del motore in fase di test) è stato impiegato anche nei motori dotati di SCR. Il combinato disposto della decisione di un importante lancio dei Clean Diesel negli States – a costo di taroccare le centraline – e della vulnerabilità dell'Azienda di fronte a chi volesse inserire software truffaldino nella gestione del motore fa comunque nascere più di una perplessità, così come il fatto che finora gli alti dirigenti – a parte Winterkorn – non sono stati toccati dal DieselGate. Fra le altre misure per il futuro, citiamo la verifica delle emissioni da parte di Enti esterni (si parla di Dekra), ulteriori verifiche casuali su auto di produzione e la riorganizzazione sia delle divisioni incaricate del rilascio del software (i dubbi degli USA su Bosch avranno influenzato questa decisione?) sia dell'infrastruttura di Information Technology del gruppo. Promesse anche una comunicazione più puntuale, maggior attenzione all'etica (“nessuna considerazione commerciale giustifica il superamento dei limiti legali ed etici”) ed una gestione più decentrata, con marchi e regioni che godranno di una maggiore indipendenza. Confermato il piano dei richiami in Europa (le soluzioni per gli USA, concertate con EPA e CARB, sono ancora in fase di definizione) e ribadita la volontà di non cedere alcun Marchio; la riorganizzazione dei brand e degli organici sarà pienamente conclusa non prima del 2017 e viene ribadita l'elettrificazione della gamma e il ricorso alle tecnologie più moderne (We need a little more Silicon Valley). Un bel programma, non c'è che dire, ma qualche dubbio rimane.

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