La Cina apre ai Costruttori stranieri: via i blocchi sui Brand dal 2022

La Cina apre ai Costruttori stranieri: via i blocchi sui Brand dal 2022 La Cina allenta le regole delle joint-venture sugli investimenti stranieri: cosa cambierà dal 2022 per i Costruttori di veicoli esteri

La Cina apre ai Costruttori stranieri: via i blocchi sui Brand dal 2022

La Cina allenta le regole delle joint-venture sugli investimenti stranieri: cosa cambierà dal 2022 per i Costruttori di veicoli esteri

28 Dicembre 2021 - 10:12

Il più grande mercato automobilistico del mondo si prepara ad un cambiamento epocale: i Costruttori auto stranieri non saranno più soggetti alle regole sugli investimenti esteri in Cina. Tra le attività sottoposte a severi paletti (joint-venture di minoranza) la produzione di veicoli sarà esclusa, come tante altre a partire dal 1 gennaio 2022. Restano invece alte le barriere su molti altri settori, tra cui anche la produzione delle batterie al litio.

I 5 MAGGIORI COSTRUTTORI AUTO IN CINA CRESCIUTI CON LE JOINT-VENTURE

La Cina ha istituito nel 1984 una lista di attività soggette ad approvazione delle autorità solo in presenza di particolari condizioni di parziale proprietà e con la partecipazione del Governo in molti casi. Per i Costruttori di veicoli stranieri questo blocco ha comportato l’obbligo di stringere alleanze paritarie (50:50) o di minoranza con i produttori di veicoli locali. A parte i recenti allentamenti (la trattativa Tesla è stata la più articolata per la produzione delle auto elettriche con esclusivo controllo), negli anni queste alleanze hanno permesso anche ai Brand di corporation cinesi di farsi una posizione di rilievo e acquisire tecnologie difatti trasferite sui prodotti per il mercato locale, come riporta Forbes. E’ stato così ad esempio per:

SAIC (Shanghai Automotive Industry Corporation) con Volkswagen, Iveco, Skoda, Buicks e Chevrolet. Inoltre ha resuscitato il Brand inglese MG, riportandolo in Europa ed esportandolo anche in Australia;

Dongfeng con Cummins, Dana, Honda, Nissan, Renault, Kia e Stellantis (di cui detiene una quota dopo aver aiutato PSA nei periodi difficili);

FAW (First Automobile Works) con Volkswagen, Mazda, Toyota, Audi e General Motors;

BAIC (Beijing Automotive Industry Holding) con Hyundai e Mercedes Benz, inoltre detiene una quota in Daimler AG;

Geely Auto Group, tra i più noti Costruttori cinesi in Europa per aver comprato Volvo Cars, dalla cui sinergia è nato il Brand Link&Co. Oltre a Volvo, detiene una quota consistente anche in Daimler AG;

COSTRUTTORI CINESI: DA CONTROLLATI A CONTROLLANTI?

Ciò che accomuna almeno i 5 maggiori Costruttori di veicoli in Cina è la loro storia relativamente recente (fondazione a partire dal 1980) e non certo secolare come i pionieri mondiali dell’auto. Grazie alle politiche stringenti sugli investitori stranieri, il Governo ha preservato il mercato interno (rappresentano quasi la metà delle vendite globali di veicoli elettrici, secondo Jato), favorendone la crescita sia tecnologica che di capitale nelle stesse aziende estere che la Cina ha ospitato. Dal 1 gennaio 2022 non ci saranno più vincoli sulla proprietà degli stabilimenti di produzione, come ha stabilito il Ministero del Commercio e della Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma con un provvedimento ufficiale.

LA CINA VIETA GLI INVESTIMENTI SUI MINERALI E LE TERRE RARE

Tra le attività ancora sottoposte a severa restrizione figurano molti investimenti in attività di agricoltura, silvicoltura, allevamento e pesca. Ciò che la Cina vuole tenersi stretta è anche l’attività mineraria, determinante, tra le altre, per l’industria automobilistica e in particolare la produzione di batterie. “È vietato investire in terre rare, minerali radioattivi, esplorazione, estrazione e arricchimento del tungsteno”, stabilisce l’autorità cinese. La svolta però era già nell’aria, con l’allentamento delle restrizioni per l’apertura della prima fabbrica interamente controllata da Tesla in Cina. Ma anche per molti altri Costruttori, attraverso specifici accordi, la quota di proprietà era salita oltre il 50%. La strategia vincente delle joint-venture cinesi è stata sicuramente quella di incubare le aziende locali, che ora potrebbero anche ritirarsi cedendo il controllo o ampliando la loro quota di capitale nelle aziende estere.

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