Auto usate: la clausola "vista e piaciuta? non si applica ai vizi occulti

Auto usate: la clausola "vista e piaciuta? non si applica ai vizi occulti La Cassazione precisa: la clausola "vista e piaciuta? limita la responsabilità del venditore d'auto usate

La Cassazione precisa: la clausola "vista e piaciuta? limita la responsabilità del venditore d'auto usate, senza esonerarlo del tutto

9 Novembre 2016 - 11:11

La sentenza depositata il 19.10.2016, dalla sesta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, n. 21204, avrà una bella eco in tutte le cause che gli acquirenti di auto usate intentano contro i venditori, quando l'auto acquistata a buon prezzo non si rivela essere un buon affare (leggi qui la guida completa all'acquisto dell'auto usata). Un acquirente di un concessionario aveva acquistato una Volkswagen, firmando un contratto contenente la clausola “vista e piaciuta” nello stato in cui si trovava. Senonchè, il veicolo, quando spinto a velocità autostradale, faceva un rumore strano, e infatti portata dal meccanico aveva rivelato avere l'avantreno rotto. Chi paga la riparazione? La causa davanti al Giudice di Pace di Milano la vince l'acquirente, ma il Tribunale del capoluogo lombardo, in sede di appello, ribalta le sorti della vicenda, dando un rilievo molto marcato alla clausola “vista e piaciuta”, che secondo il giudice di secondo grado esonera il venditore dalla garanzia per vizi ex art. 1490 c.c.. Ora gli Ermellini rimettono in corsa la signora che aveva acquistato la Volkswagen, perchè la clausola “vista e piaciuta” non può tradursi in un esonero totale di responsabilità, ma solo in una limitazione della responsabilità per i vizi rinvenibili con l'ordinaria diligenza, ossia non per i vizi occulti.

LA TRATTATIVA OCULATA, LE RASSICURAZIONI, LA SORPRESA Non si può dire che la signora, ricorrente in Cassazione nel caso in esame, fosse una sprovveduta. Dai documenti di causa emerge infatti che sull'auto da acquistare, pagata ben 26.000 euro, aveva preteso rassicurazioni anche dal rappresentante legale della società venditrice, che peraltro le aveva fornite senza riserve. Quando poco dopo l'acquisto l'auto ha rivelato un problema non irrisorio, tanto da costare oltre tremila euro di riparazioni, evidentemente la donna si è sentita frodata e mancando la disponibilità a rimediare della concessionaria, si è rivolta al Giudice di Pace, il quale le ha dato ragione. Poi però la doccia fredda: il Tribunale di Milano sovverte l'esito del primo grado e la condanna al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio. Perchè? Perchè l'acquirente aveva dichiarato di accettare l'auto nello stato in cui si trovava, firmando la clausola “vista e piaciuta”. Ora però i Giudici di Piazza Cavour smentiscono il Tribunale meneghino.

LA PORTATA DELLA CLAUSOLA “VISTA E PIACIUTA” La Corte smonta in pochi passaggi, molto chiaramente, l'impostazione estrema adottata dal Tribunale di Milano, sia con riferimento al caso concreto, sia in via più generale. Con riferimento al caso concreto, gli Ermellini notano che il giudice di secondo grado non ha tenuto conto di due aspetti rilevanti: 1) la trattativa di vendita era stata caratterizzata da ampie rassicurazioni; 2) la clausola “vista e piaciuta” era contenuta in un contratto prestampato da un ufficio di pratiche automobilistiche, quindi non era stata frutto di una libera contrattazione tra le parti, ma era una “clausola di stile”. Oltre ciò, la Corte provvede a fornire la propria interpretazione della clausola “vista e piaciuta”, destituendo di fondamento quella preferita dal Tribunale meneghino. “Secondo un'interpretazione dottrinale” scrivono gli Ermellini “cui ha aderito il Tribunale di Milano, la garanzia per vizi è esclusa in termini radicali, dalla clausola vista e piaciuta”. Ma invece tale esclusione può avvenire solo “qualora si tratti di vizi riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede”. Senza questa adeguata precisazione, si creerebbe uno squilibrio nel rapporto tra i due contraenti (tecnicamente “sinallagma contrattuale”), a scapito del consumatore cui non si può richiedere di scovare anche i vizi occulti del bene, prima di acquistarlo.

SULLA CLAUSOLA “VISTA E PIACIUTA” DEVE PREVALERE IL BUON SENSO Questo è un caso in cui davvero i tre gradi di giudizio svolgono, nel bene e nel male, la loro funzione: se il giudice di prossimità pare aver deciso col buon senso, in appello sembra aver prevalso un certo formalismo interpretativo, mentre ora il buon senso sembra essere tornato a prevalere, con la fissazione di un principio sacrosanto. Se infatti la firma della clausola “vista e piaciuta” dovesse comportare le conseguenze che ha ritenuto giuste il Tribunale di Milano, nessuno dovrebbe più acquistare un'automobile usata con quella clausola, salvo portarsi un bravissimo meccanico e fare un paio di giorni di prove su strada. Tale evenienza è evidentemente incompatibile con l'esigenza di speditezza dei traffici commerciali e finirebbe per penalizzare principalmente proprio i rivenditori di auto usate. Non si può pretendere dall'acquirente di un veicolo usato la competenza dell'esperto di automobili, o del professionista riparatore, e una clausola che consentisse al venditore di farla franca sui vizi difficili da notare a un primo esame del veicolo, sarebbe una sorta di legittimazione alla frode. Le norme che garantiscono i consumatori ci sono (per un approfondimento sulla garanzia per i consumatori che comprano auto usate, leggi qui), tuttavia, come dimostra questo caso, le interpretazioni rigide della normativa sui contratti, come quella spesa dal giudice di Milano, possono vanificare il senso dell'evoluzione legislativa consumeristica. Inoltre interpretazioni simili vanno contro la tendenza ad avere rapporti commerciali, specie tra professionisti e consumatori, sempre più liquidi, rapidi, spesso con l'ausilio di piattaforme telematiche. Se non si rimarca adeguatamente la differenza tra le forze dei due contraenti, si finisce per portare squilibrio nei rapporti contrattuali, frenando in ultima analisi la libertà dei commerci.

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