
Una recente pronuncia della Suprema Corte conferma: se la moto va a velocità elevata, non rileva che la strada nasconda un'insidia
Gli Ermellini tornano a occuparsi dei danni da insidia stradale, anche se in questo caso lo fanno soltanto per confermare che il ragionamento svolto dalla Corte D'Appello non aveva vizi di motivazione. Con la sentenza n.6841, depositata in data 8 aprile 2016, la III sezione civile della Suprema Corte rigetta il ricorso degli eredi di un povero motociclista deceduto nel febbraio del 2001, in un incidente stradale in provincia di Rieti. Il centauro aveva perso il controllo della propria moto dopo aver trovato sulla strada un rigonfiamento dovuto all'ingrossarsi di una radice di pino. Insidia? Colpa del gestore stradale? In primo grado e in appello viene deciso che il motociclista, tenendo una velocità molto elevata, aveva causato in questo modo l'incidente e quindi non viene accolta la domanda di risarcimento nei confronti della Provincia di Rieti. Da qui il ricorso in Cassazione delle eredi (madre e moglie del defunto), che denunciavano una mancata considerazione dell'accertata natura di insidia da parte dei giudici di merito. Il Giudice non è obbligato a prendere in considerazione tutti gli elementi, risponde la Corte, e la sentenza di appello è ben motivata.
L'INCIDENTE SU UN TRATTO CHE IMPONE PRUDENZA L'incidente, in base alla descrizione riportata in sentenza, risulta avvenuto in pieno giorno, in un punto della strada in cui da una leggera curva a destra la strada diventa rettilinea e in leggera salita, conformando un dosso. Su quel tratto di strada vi erano vari cartelli che imponevano prudenza: la segnalazione di alberi in banchina, del dosso, il divieto di sorpasso, la presenza di un incrocio e il limite di velocità di 50 km/h. Dalle risultanze probatorie il motociclista viaggiava a una velocità ricompresa tra i 92 e i 114 km/h, quindi approssimativamente a una velocità doppia di quella consentita. Inoltre risulta avesse effettuato un sorpasso. L'imprudente condotta di guida è stata ritenuta dalla Corte d'Appello sufficiente ad integrare una “causa esclusiva del sinistro”, sgravando da ogni responsabilità il gestore stradale. E per gli Ermellini va bene così.
L'INSIDIA IGNORATA? NON IMPORTA Il ragionamento della Corte entra nello specifico quando motiva il rigetto del ricorso con riferimento all'argomento principale in esso contenuto: la mancata considerazione della presenza di un'insidia su un manto stradale. La radice dell'albero, o meglio il bozzo che creava sull'asfalto, non era visibile né prevedibile, quindi costituiva un'insidia nel senso giuridico del termine (come confermato dal consulente del PM), dunque l'averla lasciata sulla strada causava da parte del custode stradale una violazione del principio del neminem ledere, cardine della responsabilità per fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c..Per le eredi del defunto, la Corte d'Appello non poteva ignorare questo argomento. Invece, secondo i Giudici di Piazza Cavour questo non basta per configurare una motivazione omessa o insufficiente , essendo invece necessaria “l'obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione”. Infatti, secondo gli Ermellini, gli elementi che la Corte d'Appello non avrebbe considerato non sono “idonei a neutralizzare la ratio decidendi espressa nelle motivazione”. In altri termini, l'imprudenza e la velocità elevata sono stati causa sufficiente a produrre il sinistro, che a una velocità adeguata si sarebbe potuto evitare.
UN TERRENO ACCIDENTATO ANCHE IN GIUDIZIO La sentenza della Suprema Corte, se pur molto chiara e puntuale nella sua impostazione, non fuga i dubbi sulla delimitazione della responsabilità del gestore stradale, ai sensi degli artt. 2043 c.c. (danno da fatto illecito) e 2051 c.c. (responsabilità del custode). Dire che è logico un ragionamento per cui si stabilisce che sì c'era un pericolo sulla strada, ma andando piano uno se ne poteva accorgere, non può soddisfare l'esigenza di certezza del diritto degli operatori, degli interpreti, o degli utenti della strada. Quello delle insidie stradali rimane un “terreno accidentato” anche sul piano giuridico, nonostante passino gli anni e si affastellino le pronunce più diverse della Corte di Cassazione (leggi del motociclista caduto su una buca, che però conosceva la strada). La questione è così complessa, che c'è da pensare che, anche qualora le Sezioni Unite dovessero tentare di tracciare i punti cardinali della responsabilità del gestore della strada, la giurisprudenza continuerebbe ad essere contraddittoria, o a “macchia di leopardo”, e a riflettere le convinzioni del singolo giudice o collegio, più che una uniforme volontà dell'ordinamento.